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LE TRE BECCACCE - 1^ giornata.


1^ giornata.
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               Una domenica di novembre, con tanto gelo e cielo terso, ci aveva accolto nella grande riserva di caccia che erano le colline a est del mio paese.
La strada si snodava su  uno sterrato ma la Campagnola del mio compagno di caccia non temeva certo quelle condizioni di viabilità, era stata costruita per affrontarle e forse erano perfino poca cosa.
I due Setter inglesi uggiolavano, nello spazio dedicato sul retrotreno, accovacciati su una vecchia coperta di lana. Erano “Brenz del Rovere” e “Gyp del Feltrino”; avevano medesimo flusso di sangue nelle vene sebbene con altro affisso. Entrambi provenivano dai famosi Setter della famiglia “del Rovere” che aveva avuto molti campioni celebrati.
I cani erano due esperti beccacciai, il mio compagno era un mio parente di nome Francesco, affettuosamente chiamato Ciccio, che mi aveva avvisato telefonicamente della venuta. Io, in quel periodo, ero un cacciatore solitario. Il mio partner era emigrato in Svizzera con tutta la famiglia a cercare fortuna e non avevo avuto voglia di cercarmene un altro. A beccacce spesso la migliore compagnia è il cane.
La strada era coperta di buche, l’acqua si era cristallizzata e il ghiaccio si frantumava sotto i copertoni del potente mezzo. Noi stavamo silenziosi a osservare il paesaggio fiabesco. Il bosco era ornato dalle gocce di rugiada notturna diventate perle nell'occasione. Un vero coacervo di alberi di Natale. Infatti, mancava poco alla festa per l’anniversario della nascita di Gesù.
Ci fermammo accostando in uno slargo e scendemmo preparando le attrezzature. Francesco mi presentò la sua doppietta Piotti meravigliosamente arabescata e mise mano alle scatole di cartucce per farne provvista da mettere nei capaci tasconi della giacca di fustagno. Io prelevai il mio automatico dalla canna corta e mi predisposi a caricare. I Setter gemevano pietosamente. Una litania che sarebbe finita solo appena i cani fossero stati sganciati. Così fu mentre noi ci proponevamo il piano di attacco al bosco ancora bagnato. Le beccacce le sentivo a naso, proprio come i cani. Beh non proprio a naso ma io sapevo dove potevano avere eletto il loro domicilio notturno. Quei boschi di querce novelle ed erica mal tagliata non avevano segreti per me e il mio cane. Il silenzio era profondo e innaturale; nemmeno gli uccelli avevano voglia di cantare sicuramente intorpiditi dalla fredda notte. Ci avviammo.
Non ci fu alcuna sorpresa nel sentire i campani tacitarsi subito dopo; uno sguardo d’intesa, un gesto col braccio sinistro che roteava nell'indicare la posizione al compagno e via in silenzio a cercare i cani. Cominciò così quella che sembrava una bella giornata di caccia.
Gyp in una prova su quaglie.





Sul mezzo giorno avevamo quattro capi nella cacciatora. Molti involi erano terminati senza esito positivo per noi. Le piante avevano fornito protezione alle nostre amate beccacce. Decidemmo di rientrare, stanchi ma soddisfatti. Occupammo il posto nella vigorosa Campagnola commentando le fasi salienti della giornata e ci avviammo sulla via del ritorno. Dopo breve tratto ci apparve la casa di Montanari, il romano proprietario di quei fondi immensi e rigogliosi di vegetazione. Ormai era ridotta quasi a un rudere e la vegetazione, in parte, l’aveva coperta. Era comunque un buon rifugio per chi ne avesse avuto bisogno.
Mi sorprese la vista di un oggetto che era a lato della strada, il mio compagno non lo aveva considerato; la guida del veicolo pretendeva attenzione. Sorpreso da quella vista, chiesi con enfasi di fermare l’automobile. Scesi e afferrai l’oggetto con sorpresa e preoccupazione. Si trattava di un fucile automatico Franchi. Istintivamente provai a manovrare il carrello da dove schizzarono tre cartucce, le raccolsi osservando che erano cartucce a palla Brenneke. Il mistero era fitto.  Mi venne in mente che fosse del marito di una mia cugina. Conoscevo la sciatteria e l’approssimazione di quella persona e quindi, avere dimenticato di raccogliere il fucile prima di partire con l’auto, poteva essere un gesto non lontano dal suo modo di agire. Convinto di questo e non avendo ottenuto risposta ai miei richiami provai a sparare un colpo in aria dallo stesso fucile raccolto. Seguirono altri richiami ma nessuno rispose. Il bosco era freddo e silenzioso, pochi uccelli passavano alti e si sentivano solo campane di animali bradi che, sotto di noi, strappavano e ruminavano la magra erba invernale.
A quel punto, d’accordo col mio compagno, decidemmo di proseguire il nostro cammino; scaricai l’arma e la riposi sul sedile di dietro della Campagnola. Di comune accordo avevamo deciso che avremmo portato l’arma in paese per individuare il proprietario o consegnarla ai Carabinieri.
-        Che ne pensi? Dissi a Francesco.
-        Non saprei la cosa è strana. Il paese non è lontano; a questo punto, chiunque sia stato ad abbandonare l’arma, si dovrebbe essere accorto della sua mancanza. La prima cosa da fare sarebbe stata quella di tornare indietro e cercarla ma non si vede nessuno.
Infatti, la carraia era deserta, nessun segno di presenza umana, il paese era ancora a tre chilometri circa.
Restammo pensierosi a meditare sulla stranezza del fucile carico abbandonato sul lato di una strada.
Dopo una breve riflessione proruppi:
-        Qui è successo qualcosa di grosso, me lo sento nelle vene. Speriamo che non ci siano morti.
Le parole rimbalzarono come un’eco nell'abitacolo angusto. Mi parve così ma forse non era vero. Nel cervello però avevano cominciato a scavare un solco profondo. Mi augurai che il fucile non fosse di chi avevo sospettato, ma le eventualità erano troppo scarse. Di quei fucili ce n’erano solo due in paese e in quelli vicini nemmeno uno. Non mi spiegavo però che ci facesse il marito di mia cugina lì senza compagnia. Non era tipo da andare a caccia da solo, era troppo inesperto e la caccia per lui era solo un estemporaneo capriccio dettato dalla sua indole fantasiosa ed estroversa. Pensai che sarebbe stato il caso di fermarsi davanti a casa sua per domandare alla moglie, forse anche a lui stesso se fosse andato diritto a casa.
 La macchina svoltò sulle curve sopra il Cimitero, le prime case erano apparse bianche e fumanti dai camini accesi; l’aria era ormai greve e i nuvoloni neri promettevano neve. Solo per un attimo pensai che sarebbero scese dai monti altre beccacce.

Passammo sulla provinciale senza incontrare mezzi e senza vedere alcuno per strada. Era ora di pranzo quindi non ne fummo sorpresi. Raggiungemmo il ponte e lo attraversammo con la speranza di risolvere il mistero. La curiosità aveva seguito di pari passo una certa apprensione. Fummo in paese e osservammo che la casa del mio cugino aggiunto era tranquilla. Nessun movimento, nessun atto denunciava allarmi, preoccupazioni o altro.  Chiesi a Francesco di fare una breve sosta. Lui accondiscese senza alcuna replica. Suonò il clacson con una certa insistenza e si affacciò un bimbo che conoscevo bene.
-        Ciao dove sta tuo padre?
-        Non lo so, è arrivato e poi ha lasciato il fucile e le cartucce e subito dopo è uscito.
-        La mamma non sa dov'è andato?
-        No, vuoi che la chiami?
Mentre lui parlava una donna si era affacciata, mi guardò con affetto e un bel sorriso, ci volevamo bene essendo anche quasi coetanei. Mi fece cenno di salire mentre indicava le scale e soggiunse:
-        Venite, vi farò il caffè e intanto lo aspetterete.
Respinsi l’invito mentre ringraziavo, ma avevo troppa agitazione addosso. Meno male che lui era scampato a eventuali problemi, ma dovevo sapere cosa era successo e di chi era quel fucile.
Salutammo e ci avviammo verso il centro, la caserma era poco lontana ma sempre sulla stessa strada provinciale. Avevamo convenuto che quel fucile doveva essere consegnato lì, solo i carabinieri avrebbero potuto dipanare la matassa e svelare il mistero di quel ritrovamento.
Feci poco caso a un capannello di gente riunitosi più avanti; rilevavo che parlavano concitatamente e gesticolavano; in realtà ero disinteressato a causa del problema che si era presentato. Chiesi a Ciccio di fermare l’auto davanti alla villa comunale e scesi. Presi il fucile e le tre cartucce rimaste e mi avviai verso il portone. Suonai un paio di volte ma nessuno rispose. Aspettai qualche minuto e poi insistetti, alla fine scampanellai e sentii una voce alta e irosa dire un’imprecazione. Poco dopo il portone si aprì. Il carabiniere mi conosceva bene, eravamo anche compagni di lunghe partite a carte.
-        Sei tu?
-        Sussurrò.
-        Che ci fai con quel fucile?
Era attonito.
-        Come vedi ho anche le cartucce, l’ho trovato in montagna e l’ho raccolto. Sono venuto a consegnarlo, tocca a voi stabilire di chi è.
Fece un movimento brusco tirandomi dalla manica dentro e chiudendo la porta, non proferì parola e mi fece cenno di tacere. Non capivo.
-        Aspetta qui, non andare via.
Così dicendo si avviò all'interno verso la porta del comandante. Sentii parole agitate che non compresi, poi una voce che tradiva apprensione e agitazione disse forte:
-        -Vai, vai subito e prendi tutto. E sta zitto!
Il carabiniere tornò e mi disse di consegnargli l’arma e le cartucce, al mio accenno di parlare mise il dito perpendicolare sulla bocca e formò una croce con le labbra.
-        Muto, dammi il fucile e vattene. Presto saprai perché.
Restai basito. Non era la solita persona che conoscevo, era formale, attento, rispettoso ma spiccio; non ritenni di replicare e me ne andai.
Francesco attendeva in macchina e osservò che per lui si era fatto tardi. Ne convenni, gli dissi che avrei preso le mie cose e lo avrei liberato.
-        Ci sentiamo per un’altra cacciata?
-        Soggiunse:
-        Certo, ti richiamo io, prendi le beccacce, almeno una.
-        Non importa tienile, io domani ne prenderò dell’altre, saluta tutti in famiglia.
Gli sfiorai la mano con un lieve tocco in forma di saluto e chiusi lo sportello. La macchina partì, io mi diressi a piedi verso casa mia che distava duecento metri circa. Per farlo dovevo superare il crocchio di persone che continuavano a disquisire in maniera agitata.
Qualcuno mi vide e m’indicò col dito, capii che si riferivano a me dal gesto; calò il silenzio. Strano! Davvero strano, non avevo mai avuto tanta attenzione in paese quando rientravo da caccia. Il cane tirava, aveva fame; allungai il passo. Quando fui a tiro di voce, un tizio mi disse:
-        Buon giorno,c’eravate anche voi?
-        Dove?
-        A caccia al cinghiale.
-        No, io vado a beccacce; non caccio il cinghiale. Perché?
-        Perché è accaduta una disgrazia, hanno ammazzato un uomo durante la battuta.
Finalmente capii; ecco tutte le stranezze di cui ero stato testimone. Il fucile, chi avevo cercato senza trovarlo in casa, il carabiniere freddo e compassato, quasi intimorito.
-        Chi è il morto, chi gli ha sparato?
Vennero fuori i nomi e con i nomi fu chiaro anche chi era il proprietario del fucile. Non mi era passato nemmeno per la testa fino a quel momento ma era lui l’altro possessore di un fucile automatico Franchi. Mi sovvenne che molte volte lo avevo rimproverato per la sua leggerezza nel maneggiare l’arma; l’imprudenza dei suoi tiri avventati a distanze insolite e in posti molto pericolosi per gli altri; le fucilate sopra la testa del cane per prevalere sui compagni. Per quelle ragioni io lo avevo escluso da qualche tempo dalle mie compagnie a caccia.
Mi cadde un macigno sulla testa, riflettevo sulla disgrazia e l’avventatezza e pensavo alla famiglia del morto e del tiratore troppo scervellato. Dissi:
-        IL fucile l’ho raccolto io e l’ho portato ora ai carabinieri. Vado a casa a governare il cane, lascio gli attrezzi ed esco per avere migliori informazioni. Vi saluto.
Andai via con un largo gesto della mano verso tutti. Mi salutarono in coro.
Mi accolsero i miei, erano molto spaventati e ansiosi, mi chiesero notizie alle quali seppi dare poche risposte. Mi lavai e mi cambiai prendendo tristemente qualcosa da mangiare.

Mi trovai nel frattempo a riflettere sull'accaduto e non mi sembrò il caso di uscire per rispetto della famiglia del morto che aveva avuto una ben triste giornata.

(segue).........

Commenti

Unknown ha detto…
Bravo Federico complimenti
Federico Gallo ha detto…
Grazie, domani arriva la seconda giornata.
Abbracci Federico

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