Quando ci si riuniva in piazza la sera per i commenti della giornata che declinava mi avvicinavo al gruppetto con timidezza. Ero molto giovane e avevo preso la prima licenza a sedici anni. Quelli che parlavano erano stati compagni di caccia di mio padre e i loro nomi risuonavano nella mia testa come uno scampanio a festa.
Si trattava di Abramo e Dionigi, mastro Francesco e Aurelio, Giuseppe e Luigi Parrotta e tanti altri.
Significano avventure passate,episodi di vita felice nei boschi e nelle campagne o atti venatori da mandare a futura memoria per valentia o fresconeria autentica.
Sentii di uno che sbagliò con due colpi una facile lepre sul sentiero. L'amico sadico e un tantino perverso lo invitò energicamente a inseguirla e recuperarla assicurandogli che era ferita. L'urlo dei cani l'avrebbe guidato. Che corresse svelto altrimenti l'avrebbero maciullata. Si accorse dello scherzo solo dopo molte dozzine di metri.Si fermò trafelato a riprendere fiato e poi, stizzito e offeso nell'orgoglio, continuò fino al paese senza fermarsi.Non tornò mai più a caccia.
Di un altro che pregò tanto un giovane bracconiere, possessore di un ottimo cane, finché lo convinse a recarlo con se a caccia. Fu messo alla posta e aspettò lo scovo e lo scagno.La lepre arrivò di corsa col cane ululante alle calcagna. Fu colto dall'ansia e dal tremore e si fermò a puntarla fino a che gli passò in mezzo alle gambe.Scaricò le due canne in terra sollevando un gran polverone. L'amico, che seguiva la scena da lontano, gli chiese ironicamente se l'avesse colpita e lui: " Certo che si ma se l'è mangiata la polvere talmente era vicina". Ovviamente i lazzi e gli scherzi non finivano mai ed erano il sale della giornata trascorsa.
Fra tutti i personaggi spiccava il "solitario",un cacciatore che tutti cercavano di coinvolgere ma che rifuggiva la compagnia. Sia a caccia sia in piazza. Se si avvicinava era solo per pochi minuti poi s'inventava una ipotetica commissione da portare a termine e se ne andava. Lo faceva però con garbo e tale educazione che non gli si poteva rimproverare nulla. Era la stessa cosa per la caccia. Si accompagnava raramente con qualcuno, alle volte con un nipote che poi sistematicamente criticava per le leggerezze commesse.Aveva una figura importante e si vestiva con cura; in testa portava sempre il cappello a larghe falde in feltro che d'estate diventava di paglia.
Era nota la sua insofferenza e quindi spesso il cappello diventava un oggetto scaccia mosche o un ventaglio per farsi fresco. I suoi commenti erano talmente pittoreschi quanto iperbolici e restarono famosi.Non colpirono solo la mia attenzione ma anche quella di altri.Spesso ne ricordiamo le espressioni colorite che ci fanno ancora ridere a crepapelle. Grande cacciatore,istruttore di cani e tiratore a volo e al sentiero. Caricava cartucce fantasiose per nome e dosi come le sue espressioni verbali facendo miscugli di polveri che poi rinominava a gusto suo. Ogni cartuccia aveva una sua giornata d'utilizzo: col vento, con l'acqua,con la nebbia.Entravano e uscivano dalle canne con estrema facilità e secondo le condizioni meteo fino all'epilogo del loro utilizzo. Si chiamava Vincenzo Scarfò ed aveva dedicato tutta la sua vita alla caccia.
Qui sopra è quello a sinistra nella foto.Per me era una compagnia e un passatempo ineguagliabile per le lunghe conversazioni sulla balistica e per le storie vissute - non solo di caccia-che mi raccontava. Era una vera miniera dato che parte della sua vita l'aveva svolta nella Pampa argentina a caccia di ogni genere di selvaggina.
Nella foto quello a destra è un vero e fraterno amico che ha vissuto,da ragazzo, parte della sua vita in casa mia,eravamo dirimpettai. Lui ha qualche anno meno di me e penso fosse affascinato dal fatto che cacciavo e avevo l'automobile. Cose entrambe che dovevano essere una grande attrazione. Veniva con me in macchina imparando con facilità i comandi e la guida e mi seguiva a caccia dove mi aiutava a snidare gli uccelli e raccoglierli fra le frasche e le erbacce.
Ovviamente mi stava vicino anche nel caricare le cartucce che preparavamo assieme in gran copia durante le lunghe giornate di primavera con la caccia chiusa. Diventò,manco a dirlo, un grande cacciatore e eccellente tiratore. La passione per le automobili ne ha fatto il primo se non il migliore capo officina di varie concessionarie calabresi dove ha prestato e presta la sua opera. I motori delle macchine non hanno segreti per lui e dimostra una eccezionale sensibilità nella messa a punto facendo di vecchie carrette vere macchine da corsa. E' proprio il caso di dire "che con il cacciavite in mano fa miracoli" come dice la famosa canzone di Battisti & Mogol. Si chiama Antonio Marasco ma è conosciuto come Tonino anche se è alto più di un metro e ottanta.
Si trattava di Abramo e Dionigi, mastro Francesco e Aurelio, Giuseppe e Luigi Parrotta e tanti altri.
Significano avventure passate,episodi di vita felice nei boschi e nelle campagne o atti venatori da mandare a futura memoria per valentia o fresconeria autentica.
Sentii di uno che sbagliò con due colpi una facile lepre sul sentiero. L'amico sadico e un tantino perverso lo invitò energicamente a inseguirla e recuperarla assicurandogli che era ferita. L'urlo dei cani l'avrebbe guidato. Che corresse svelto altrimenti l'avrebbero maciullata. Si accorse dello scherzo solo dopo molte dozzine di metri.Si fermò trafelato a riprendere fiato e poi, stizzito e offeso nell'orgoglio, continuò fino al paese senza fermarsi.Non tornò mai più a caccia.
Di un altro che pregò tanto un giovane bracconiere, possessore di un ottimo cane, finché lo convinse a recarlo con se a caccia. Fu messo alla posta e aspettò lo scovo e lo scagno.La lepre arrivò di corsa col cane ululante alle calcagna. Fu colto dall'ansia e dal tremore e si fermò a puntarla fino a che gli passò in mezzo alle gambe.Scaricò le due canne in terra sollevando un gran polverone. L'amico, che seguiva la scena da lontano, gli chiese ironicamente se l'avesse colpita e lui: " Certo che si ma se l'è mangiata la polvere talmente era vicina". Ovviamente i lazzi e gli scherzi non finivano mai ed erano il sale della giornata trascorsa.
Fra tutti i personaggi spiccava il "solitario",un cacciatore che tutti cercavano di coinvolgere ma che rifuggiva la compagnia. Sia a caccia sia in piazza. Se si avvicinava era solo per pochi minuti poi s'inventava una ipotetica commissione da portare a termine e se ne andava. Lo faceva però con garbo e tale educazione che non gli si poteva rimproverare nulla. Era la stessa cosa per la caccia. Si accompagnava raramente con qualcuno, alle volte con un nipote che poi sistematicamente criticava per le leggerezze commesse.Aveva una figura importante e si vestiva con cura; in testa portava sempre il cappello a larghe falde in feltro che d'estate diventava di paglia.
Era nota la sua insofferenza e quindi spesso il cappello diventava un oggetto scaccia mosche o un ventaglio per farsi fresco. I suoi commenti erano talmente pittoreschi quanto iperbolici e restarono famosi.Non colpirono solo la mia attenzione ma anche quella di altri.Spesso ne ricordiamo le espressioni colorite che ci fanno ancora ridere a crepapelle. Grande cacciatore,istruttore di cani e tiratore a volo e al sentiero. Caricava cartucce fantasiose per nome e dosi come le sue espressioni verbali facendo miscugli di polveri che poi rinominava a gusto suo. Ogni cartuccia aveva una sua giornata d'utilizzo: col vento, con l'acqua,con la nebbia.Entravano e uscivano dalle canne con estrema facilità e secondo le condizioni meteo fino all'epilogo del loro utilizzo. Si chiamava Vincenzo Scarfò ed aveva dedicato tutta la sua vita alla caccia.
Qui sopra è quello a sinistra nella foto.Per me era una compagnia e un passatempo ineguagliabile per le lunghe conversazioni sulla balistica e per le storie vissute - non solo di caccia-che mi raccontava. Era una vera miniera dato che parte della sua vita l'aveva svolta nella Pampa argentina a caccia di ogni genere di selvaggina.
Nella foto quello a destra è un vero e fraterno amico che ha vissuto,da ragazzo, parte della sua vita in casa mia,eravamo dirimpettai. Lui ha qualche anno meno di me e penso fosse affascinato dal fatto che cacciavo e avevo l'automobile. Cose entrambe che dovevano essere una grande attrazione. Veniva con me in macchina imparando con facilità i comandi e la guida e mi seguiva a caccia dove mi aiutava a snidare gli uccelli e raccoglierli fra le frasche e le erbacce.
Ovviamente mi stava vicino anche nel caricare le cartucce che preparavamo assieme in gran copia durante le lunghe giornate di primavera con la caccia chiusa. Diventò,manco a dirlo, un grande cacciatore e eccellente tiratore. La passione per le automobili ne ha fatto il primo se non il migliore capo officina di varie concessionarie calabresi dove ha prestato e presta la sua opera. I motori delle macchine non hanno segreti per lui e dimostra una eccezionale sensibilità nella messa a punto facendo di vecchie carrette vere macchine da corsa. E' proprio il caso di dire "che con il cacciavite in mano fa miracoli" come dice la famosa canzone di Battisti & Mogol. Si chiama Antonio Marasco ma è conosciuto come Tonino anche se è alto più di un metro e ottanta.
Commenti