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La Pasqua e la caccia.

Non c'entra nulla la festività se non perché lascia liberi gli uomini dalle loro incombenze e quindi permette una uscita a caccia. Oggi cacciare a Pasqua è impensabile ma fino a qualche dozzina di anni or sono ciò era realtà.
In aprile e maggio la caccia era consentita in pianura entro i due chilometri dalla battigia del mare. Sia alle quaglie sia alle tortore. La pianura antistante il mare,le dune, gli uliveti prospicienti,terrazzati su dolci rialzi del terreno e con vista sul mare erano occupati da stuoli di cacciatori. Alcuni appostati dietro un riparo momentaneo altri in movimento coi loro cani da ferma. Spesso questi ultimi si aggiravano nei pressi delle parate per la presa delle quaglie vive. Un aucupio allora permesso che si faceva sotto l'egida dell'istituto I.N.F.S. che era preposto agli studi della migrazione della selvaggina. I selvatici catturati venivano inviati ad Ancona dove erano parte inanellati e liberati, parte consegnati alle associazione cinofile riconosciute che li usavano per le prove di lavoro coi cani da ferma.Ovviamente nessuno veniva ucciso e,in vari modi, riguadagnavano la libertà.

Lo studio della migrazione serve per conoscere abitudini di transito e di stazionamento degli animali catturati in fase di caccia lo stesso anno all'apertura o l'anno successivo. Oggi questi studi si svolgono in altri modi e le catture forse sono delegate ad enti appositi. Non saprei dirlo poiché la rivoluzione voluta dal ministro dell'ambiente del governo precedente, ormai estromesso dal contesto politico nazionale per sommi demeriti, si avvalse del suo potere per apportare modifiche di funzionamento che in pratica hanno stravolto l'esistente. Invece di oliare la macchina ha preferito bucare le gomme e poi cambiare l'autista. Non era certo nei suoi intendimenti quello di migliorare le risorse ambientali ma mettere il bastone fra le ruote. Ha avuto il fatto suo.

Tornando alla primavera, alla caccia  alle quaglie e alle tortore, confermo che buoni carnieri di quaglie si facevano attorno agli impianti di cattura. Una volta che, per disgrazia e disattenzione, il sacco contenente le quaglie catturate nella nottata restò mal legato il carniere fu copiosissimo. Amici miei che si trovarono in loco sui campi antistanti lo zuccherificio di Strongoli nella valle del Neto, me lo raccontarono. Le quaglie volarono,si sparsero intorno nei campi e fu una vera festa per cani da ferma e cacciatori. L'ira dell'operatore dell'impianto di cattura, chiamato Pietrino, verso il suo collaboratore si spense quando decise di sciogliere la sua brava Bretoncina e partecipare al raccolto.

Mi trovai spesso ad aggirarmi attorno al suo impianto e anche in territori limitrofi con la mia prima vera cagna da ferma, una superba Spinona Italiana bianco limone di nome Lilly che lavorava le quaglie in modo egregio e insuperabile. Avevo forse 18/19 anni e l'entusiasmo mi faceva arrivare all'alba e sopportare il caldo sole di aprile e maggio che dalle otto in poi imperversava feroce sulle terre antistanti il mare.

Le quaglie le prendevo e la cagna mi faceva fare delle figure che mi inorgoglivano. In seguito andai in quei luoghi col mio primo setter, il famoso Gyp, che aveva intelligenza venatoria pari solo alla sua sagacia.

Un giorno, dopo la caccia col cane, mi fermai su una duna per allentare qualche fucilata alle numerose tortore che transitavano basse. Davanti a me c'era un signore con un doppietta che era un tiratore eccezionale. Due colpi due tortore ad ogni passaggio dei branchetti. Mai visto una cosa simile. Io mi arrangiavo benino ma certo non con quella costanza di risultati. Ogni tanto lui guardava me e io sbirciavo verso di lui. Avevo percepito che lui era incuriosito dai miei tiri quanto io della sua eccezionale bravura. Dovevamo conoscerci.

L'occasione fu un colpo che lui fece su una tortora che allungò e cadde nel grano già alto. Vane furono le sue ricerche ma non insistette più di tanto rapito dalla volontà di continuare a sparare. Verso le otto e trenta i voli scemarono e poi finirono di colpo. Quel signore mi rivolse un saluto e mi disse: "Quel cane le trova le tortore abbattute?". Ed io,con falsa modestia, conoscendo le eccezionali doti di recupero di quel setter, risposi: "Alle volte si, se volete facciamo una prova." Ovviamente accolse con soddisfazione il mio aiuto e mi avviai. Portai il cane al guinzaglio fino al limitare del coltivo a grano, il signore si avvicinò e m'indicava dove presumeva ci fosse la tortora abbattuta.

Lo guardai e gli dissi di osservare il lavoro del cane. Comandai il "terra", lo sciolsi e gli diedi il via. Il setter partì e dopo due o tre lacet andò in ferma. Il signore impugnò il fucile dicendo: "Avrà una quaglia sotto?" e si avviava. Lo fermai: "No, è fermo sulla sua tortora morta". Lo sapevo perché avevo tenuto d'occhio con precisione il luogo di caduta ma anche perché conoscevo l'abitudine del cane. Comandai il riporto e mi avviai sul sentiero, dopo un minuto il cane appariva con l'uccello in bocca.

Quel signore mi guardò e con qualche imbarazzo mi disse se volevo vendergli il cane a qualsiasi somma. Lo aveva visto già cacciare le quaglie e ora su quello splendido recupero.Lo voleva a tutti i costi. Mise mano al libretto degli assegni e col suo accento romanesco mi disse:"Scrivi tu la cifra ed io firmo, se porto a Roma questo cane farò morire d'invidia molta gente". Gli rsiposi: "A caccia con cosa andrò con uno cheque attaccato davanti alla canna del fucile?" Capì e non insistette oltre.

A quel punto gli chiesi chi era e a cosa era dovuto quel suo straordinario coordinamento a sparare e mi rispose con modestia, cosa spesso afferente ai gradi campioni: "Sono Amilcare Bodini". Era uno dei due fratelli,l'altro era Gianni se ricordo bene, che disputavano le grandi gare internazionali di tiro al piccione e pluri premiati e vincitori nelle più belle gare del mondo. Mi tremarono le gambe a sentire con chi stavo parlando dato che seguivo le gesta di quei due formidabili tiratori sulle riviste venatorie e di tiro a volo.

Quando mi ripresi vidi che sorrideva e mi diceva amabilmente: Anche tu non te la sbrighi male a tirare per essere così giovane, hai un solo handicap; non hai delle buone cartucce, le sentivo dal colpo che fanno" Così dicendo  me ne allungo due per tipo di quelle che tirava lui: polvere JK6 e SIDNA. Mi disse di scaricarle, trarne la dose e poi rifarle uguali. Diventarono le polveri che usai per tutta la vita con le dosi di Amilcare che ancora conservo scritte in un  notes che tramanderò a mio figlio.

Con questa storia di vita vissuta a caccia lascio a tutti coloro che leggono un augurio di Buona Pasqua.

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