Gli antichi romani,nostri progenitori, avevano grande stima dei cacciatori.Nella loro lingua erano chiamati Venator o Venatores. Da questa parola nacque l’allocuzione “Ars venandi” ovvero l’arte di andare a caccia.
Allora la caccia non è un semplice istinto e nemmeno un modo di sostenersi procacciando la selvaggina come cibarie. Tantomeno è uno sport nel vero senso della parola. Lo sport è nato molto dopo e la caccia per sport non esiste. Sempre che si parli di caccia nel senso De Coubertiano del termine. Infatti nessuno va a caccia solo per partecipare, chi ci va vuole assicurarsi il meglio dalla giornata di caccia, dunque non fa sport. S’impegna al massimo delle sue energie e delle sue possibilità. Si può parlare quindi di ancestrale istinto laddove nei propri antenati si riscontri un proverbiale e tenace attaccamento all’attività venatoria.
Quando uno abbia un padre o un nonno,uno zio, un cugino o un avo o bisavolo qualunque che aveva grande passione per la caccia si può dire che da lui discende la “razza” e quindi l’istinto.
Mio padre, mio nonno, e i miei avi sono stati tutti cacciatori; mio figlio ha seguito le mie orme e quelle dei suoi avi, spero ardentemente che anche qualcuno dei miei nipoti segua l’istinto e avverta il richiamo “della foresta”.
Mio padre emigrò in America a sedici anni e vi risiedette per oltre diciotto. Ovviamente quando partì non aveva fatto il cacciatore ma il suo istinto si manifestò, appena fu possibile, molto prepotente. Per il primo Natale passato in Virginia gli fu regalato il primo fucile da caccia.Un potente Winchester a pompa calibro dodici. Arrivò subito dopo un bel cane, di razza setter irlandese.Era dono del medico della famiglia dove lui lavorava, aveva avvertito la sua grande passione per i cani.
Fu il primo di molti che poi mio padre allevò con estrema cura e diligenza seguendo i canoni “inglesi” dell’allevamento. Tale fu il suo impegno che in pochi anni aveva quarantacinque cani in canile e tutti di grande sangue: Foxhound, Beagle e Terriers.Qui,in una vecchia foto che ho custodito nei miei cassetti si vede una parte della produzione; stupendi foxhounds che furono i progenitori di Johnny, il segugio principe che portò con se in Italia.
Una veduta del canile allestito nei pressi della fattoria
dove nmio padre lavorara.Questi sono cuccioloni FoxHounds
La storia di Johnny ( si pronuncia Giany-all’americana) è degna di essere raccontata. Per come fu procurata la monte dello stallone suo padre.Per come si distinse nei primi sei mesi di vita. Per il viaggio avventuroso di ben 45 giorni in nave.Per le sue gesta memorabili nelle patrie terre dell’appennino silano, nel triangolo di Savelli-Verzino-Campana.
Un equipaggio da caccia alla volpe coi segugi FoxHounds.
Qui sopra si può osservare mio padre,nel pieno della sua gioventù, portare a caccia due pariglie di segugi,assieme ai suoi assistenti, per la caccia alla seguita su grossa selvaggina. La Virginia e i suoi Blue Ridge Mountains erano e sono ancora ricche di cervi,orsi,cinghiali e i Foxhounds erano i loro naturali avversari. Cani forti,grossi,coraggiosi,infaticabili e con voce profonda udibile a un chilometro di distanza. Dote quest’ultima da non sottovalutare poiché quei cani dovevano seguire la preda senza mai mollare, alle volte per più giorni di seguito fino ad accompagnarli all’epilogo:il fucile.
Dall’unione dei due istinti, quella dell’uomo e quella del cane si formano gli equipaggi per le battute memorabili “ a forzare” La fine deve essere quasi sempre un colpo di fucile ben assestato.
Un breve panorama, qui sopra, delle gesta di segugi e segugisti con Foxhounds e Beagle, di provenienza americana, portati in Italia da mio padre nel 1928. E’ da presumere che furono i primi cani di queste
razze che arrivarono in Italia. Oggi,almeno il Beagle, è diventato di uso abbastanza comune e si fa onore negli equipaggi da Lepre e da Cinghiale.
Allora la caccia non è un semplice istinto e nemmeno un modo di sostenersi procacciando la selvaggina come cibarie. Tantomeno è uno sport nel vero senso della parola. Lo sport è nato molto dopo e la caccia per sport non esiste. Sempre che si parli di caccia nel senso De Coubertiano del termine. Infatti nessuno va a caccia solo per partecipare, chi ci va vuole assicurarsi il meglio dalla giornata di caccia, dunque non fa sport. S’impegna al massimo delle sue energie e delle sue possibilità. Si può parlare quindi di ancestrale istinto laddove nei propri antenati si riscontri un proverbiale e tenace attaccamento all’attività venatoria.
Quando uno abbia un padre o un nonno,uno zio, un cugino o un avo o bisavolo qualunque che aveva grande passione per la caccia si può dire che da lui discende la “razza” e quindi l’istinto.
Mio padre, mio nonno, e i miei avi sono stati tutti cacciatori; mio figlio ha seguito le mie orme e quelle dei suoi avi, spero ardentemente che anche qualcuno dei miei nipoti segua l’istinto e avverta il richiamo “della foresta”.
Mio padre emigrò in America a sedici anni e vi risiedette per oltre diciotto. Ovviamente quando partì non aveva fatto il cacciatore ma il suo istinto si manifestò, appena fu possibile, molto prepotente. Per il primo Natale passato in Virginia gli fu regalato il primo fucile da caccia.Un potente Winchester a pompa calibro dodici. Arrivò subito dopo un bel cane, di razza setter irlandese.Era dono del medico della famiglia dove lui lavorava, aveva avvertito la sua grande passione per i cani.
Fu il primo di molti che poi mio padre allevò con estrema cura e diligenza seguendo i canoni “inglesi” dell’allevamento. Tale fu il suo impegno che in pochi anni aveva quarantacinque cani in canile e tutti di grande sangue: Foxhound, Beagle e Terriers.Qui,in una vecchia foto che ho custodito nei miei cassetti si vede una parte della produzione; stupendi foxhounds che furono i progenitori di Johnny, il segugio principe che portò con se in Italia.
Una veduta del canile allestito nei pressi della fattoria
dove nmio padre lavorara.Questi sono cuccioloni FoxHounds
La storia di Johnny ( si pronuncia Giany-all’americana) è degna di essere raccontata. Per come fu procurata la monte dello stallone suo padre.Per come si distinse nei primi sei mesi di vita. Per il viaggio avventuroso di ben 45 giorni in nave.Per le sue gesta memorabili nelle patrie terre dell’appennino silano, nel triangolo di Savelli-Verzino-Campana.
Un equipaggio da caccia alla volpe coi segugi FoxHounds.
Qui sopra si può osservare mio padre,nel pieno della sua gioventù, portare a caccia due pariglie di segugi,assieme ai suoi assistenti, per la caccia alla seguita su grossa selvaggina. La Virginia e i suoi Blue Ridge Mountains erano e sono ancora ricche di cervi,orsi,cinghiali e i Foxhounds erano i loro naturali avversari. Cani forti,grossi,coraggiosi,infaticabili e con voce profonda udibile a un chilometro di distanza. Dote quest’ultima da non sottovalutare poiché quei cani dovevano seguire la preda senza mai mollare, alle volte per più giorni di seguito fino ad accompagnarli all’epilogo:il fucile.
Dall’unione dei due istinti, quella dell’uomo e quella del cane si formano gli equipaggi per le battute memorabili “ a forzare” La fine deve essere quasi sempre un colpo di fucile ben assestato.
Un breve panorama, qui sopra, delle gesta di segugi e segugisti con Foxhounds e Beagle, di provenienza americana, portati in Italia da mio padre nel 1928. E’ da presumere che furono i primi cani di queste
razze che arrivarono in Italia. Oggi,almeno il Beagle, è diventato di uso abbastanza comune e si fa onore negli equipaggi da Lepre e da Cinghiale.
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