Per chi nasce in un paese di montagna e segue le evoluzioni delle stagioni,i discorsi degli allevatori e dei contadini e vive il tempo delle semine e delle raccolte, andare per i campi e osservare la natura aiuta a diventare cacciatori.
Qualcuno potrebbe dire che anche nelle grandi città sentono la passione della caccia come negli ambienti rurali.E’ vero! Ma i fattori genetici sono recidivanti e gli uomini ricevono l’imprinting dai genitori e parenti come i cani da caccia che diventano cacciatori,i cavalli che imparano a correre e i lupi che imparano a prendere gli agnelli.
Allo stesso modo i ragazzi diventano cacciatori.Ne è l'esempio la foto qui a destra di mio figlio Vincenzo,ancora imberbe e senza licenza di caccia, che veniva con me a farsi onore sul terreno. Le quaglie al Lauro non mancavano e il setter le lavorava coscienziosamente. Vincenzo sparava già benone e si vede dal suo carniere di quattordicenne.
L’istinto non si può sopprimere anzi si tramanda. Nessuno si sottrae dal cercare di mettere sotto le ruote una lepre che ,di notte, attraversa la strada.Nessun bambino ha mai saputo resistere alla voglia di prendere una lucertola, un grillo o un uccelletto; men che meno un pesce o una rana in uno stagno.L’istinto della caccia e della pesca lavorano dentro, nelle parti più intime del cuore e dell’animo e lasciano segnali di evidente erosione. Maturando si passa al fucile e al cane, si cercano le compagnie di esperti e conosciuti personaggi che possono guidarci nei meandri dei boschi e insegnarci le furberie,le astuzie e le armonie dell’arte venatoria. Le compagnie sono le più diverse e festose,numerose o sparute ma il piacere di vivere un’avventura di caccia, quale essa sia è forte e ti porta lontano.
Sia pure a una “battuta di caccia alla volpe”, per il gusto di sentire il lamento dei segugi che scagnano dietro la loro mortale nemica a coda lunga. Eccomi qui,con amici di Carfizzi,secondo da sinistra seduto, chiamato a fare il “fucile” a una battuta nelle gole del fiume Lipuda e nei tornanti di Caraconés. Posti belli e selvaggi che nemmeno in Arizona si possono trovare uguali.
Comunque, a ben vedere, il “perché” lo conosciamo bene e il “come” che spesso tarda a manifestarsi.La scelta della specializzazione spesso arriva quando si sono placati i primi istinti del “prendo tutto io”.La voglia di misurarsi con qualunque tipo di selvaggina, dal più piccolo al più grosso animale selvatico, per pavoneggiarsi con gli amici,farsi bello con i familiari e avere la riconoscenza di chi assaggerà le nostre prede.
Solo in età venatoria ormai matura si sceglie una caccia specializzata e se ne curano i particolari al fine di goderla maggiormente e diventarne un vero amatore cui nulla dovrà sfuggire per farla diventare perfetta e gustarla centellinando i particolari. Io ho amato sopra tutto la caccia alla beccaccia col cane da ferma.
Non ho saputo rinunciare al fascino dell’autunno e i suoi colori pastosi e caldi, a quello della ferma di un setter che predispone il suo agguato, a quello di una veloce fucilata al volo fra le frasche, senza vedere ma solo intuire dove sta l’obbiettivo.
Non ho mai trovato una equivalenza al fascino immenso e mai estinto o estinguibile del mistero dell’uccello dal lungo becco, una volta furbo e una volta frescone. Una volta involato nel sentiero perché calpestato dagli scarponi e un’altra saettante e leggero come una farfalla, in partenza a distanze proibitive e senza alcuna apparente ragione.
Per tutto questo il mio “come” è stato lo scegliere la caccia più misteriosa,solitaria,silente, la meno redditizia; la più faticosa e impegnativa per la scarsità degli animali, dei colpi sparati,dei luoghi idonei e la difficoltà di accedervi specie durante la stagione propizia fredda e umida.
Eppure quante soddisfazioni nelle giornate adatte. Quando i cani usavano il cervello oltre all’olfatto;cercavano e fermavano lo scolopacide e attendevano contratti ma pazienti l’arrivo del fucile.
Quante soddisfazioni quando le cartucce, fatte a mano una per una con cura maniacale, funzionavano bene e non davano scampo se non per un tiraccio buttato via alla disperata e che non poteva colpire.
Quante soddisfazioni quando s' indovinava, giorno, luogo e itinerario che portava all’incontro e che si concludeva con carnieri copiosi.
Qualcuno potrebbe dire che anche nelle grandi città sentono la passione della caccia come negli ambienti rurali.E’ vero! Ma i fattori genetici sono recidivanti e gli uomini ricevono l’imprinting dai genitori e parenti come i cani da caccia che diventano cacciatori,i cavalli che imparano a correre e i lupi che imparano a prendere gli agnelli.
Allo stesso modo i ragazzi diventano cacciatori.Ne è l'esempio la foto qui a destra di mio figlio Vincenzo,ancora imberbe e senza licenza di caccia, che veniva con me a farsi onore sul terreno. Le quaglie al Lauro non mancavano e il setter le lavorava coscienziosamente. Vincenzo sparava già benone e si vede dal suo carniere di quattordicenne.
L’istinto non si può sopprimere anzi si tramanda. Nessuno si sottrae dal cercare di mettere sotto le ruote una lepre che ,di notte, attraversa la strada.Nessun bambino ha mai saputo resistere alla voglia di prendere una lucertola, un grillo o un uccelletto; men che meno un pesce o una rana in uno stagno.L’istinto della caccia e della pesca lavorano dentro, nelle parti più intime del cuore e dell’animo e lasciano segnali di evidente erosione. Maturando si passa al fucile e al cane, si cercano le compagnie di esperti e conosciuti personaggi che possono guidarci nei meandri dei boschi e insegnarci le furberie,le astuzie e le armonie dell’arte venatoria. Le compagnie sono le più diverse e festose,numerose o sparute ma il piacere di vivere un’avventura di caccia, quale essa sia è forte e ti porta lontano.
Sia pure a una “battuta di caccia alla volpe”, per il gusto di sentire il lamento dei segugi che scagnano dietro la loro mortale nemica a coda lunga. Eccomi qui,con amici di Carfizzi,secondo da sinistra seduto, chiamato a fare il “fucile” a una battuta nelle gole del fiume Lipuda e nei tornanti di Caraconés. Posti belli e selvaggi che nemmeno in Arizona si possono trovare uguali.
Comunque, a ben vedere, il “perché” lo conosciamo bene e il “come” che spesso tarda a manifestarsi.La scelta della specializzazione spesso arriva quando si sono placati i primi istinti del “prendo tutto io”.La voglia di misurarsi con qualunque tipo di selvaggina, dal più piccolo al più grosso animale selvatico, per pavoneggiarsi con gli amici,farsi bello con i familiari e avere la riconoscenza di chi assaggerà le nostre prede.
Solo in età venatoria ormai matura si sceglie una caccia specializzata e se ne curano i particolari al fine di goderla maggiormente e diventarne un vero amatore cui nulla dovrà sfuggire per farla diventare perfetta e gustarla centellinando i particolari. Io ho amato sopra tutto la caccia alla beccaccia col cane da ferma.
Non ho saputo rinunciare al fascino dell’autunno e i suoi colori pastosi e caldi, a quello della ferma di un setter che predispone il suo agguato, a quello di una veloce fucilata al volo fra le frasche, senza vedere ma solo intuire dove sta l’obbiettivo.
Non ho mai trovato una equivalenza al fascino immenso e mai estinto o estinguibile del mistero dell’uccello dal lungo becco, una volta furbo e una volta frescone. Una volta involato nel sentiero perché calpestato dagli scarponi e un’altra saettante e leggero come una farfalla, in partenza a distanze proibitive e senza alcuna apparente ragione.
Per tutto questo il mio “come” è stato lo scegliere la caccia più misteriosa,solitaria,silente, la meno redditizia; la più faticosa e impegnativa per la scarsità degli animali, dei colpi sparati,dei luoghi idonei e la difficoltà di accedervi specie durante la stagione propizia fredda e umida.
Eppure quante soddisfazioni nelle giornate adatte. Quando i cani usavano il cervello oltre all’olfatto;cercavano e fermavano lo scolopacide e attendevano contratti ma pazienti l’arrivo del fucile.
Quante soddisfazioni quando le cartucce, fatte a mano una per una con cura maniacale, funzionavano bene e non davano scampo se non per un tiraccio buttato via alla disperata e che non poteva colpire.
Quante soddisfazioni quando s' indovinava, giorno, luogo e itinerario che portava all’incontro e che si concludeva con carnieri copiosi.
Commenti